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Mese: Aprile 2025

Buyer Persona o Buyer Moment? Il nuovo modo di intercettare i segnali di acquisto nel B2B tech

Buyer Persona o Buyer Moment? Il nuovo modo di intercettare i segnali di acquisto nel B2B tech

Da anni questo blog vi parla di Buyer Persona come bussola per ogni attività di marketing B2B. Ma oggi, soprattutto nel mondo del software e della tecnologia, quella bussola da sola non basta più. A fare la differenza è il Buyer Moment: il momento specifico in cui un potenziale cliente si trova davanti a una necessità concreta, spesso inattesa, che lo porta ad attivare una ricerca. Indice: Introduzione Come riconoscere i momenti chiave, nel rispetto completo del GDPR Contenuti e campagne che parlano al momento giusto Conclusioni Introduzione Pensiamo a una PMI che decide di cambiare il proprio ERP. Non lo fa perché ha letto un white paper oggi. Lo fa perché qualcosa nel suo business è cambiato: una fusione aziendale, un picco di inefficienze nei flussi, un nuovo CFO più orientato ai dati. In quei momenti, il bisogno emerge con forza, e chi è in grado di intercettarlo — prima dei competitor — conquista un vantaggio enorme. Lo stesso vale per l’adozione dell’AI, tema sempre più caldo: il bisogno non nasce per emulazione, ma quando l’azienda si scontra con limiti operativi chiari. Esempio: il team sales ha bisogno di forecast più precisi, oppure il customer service di un e-commerce fatica a rispondere in tempo utile. Non serve più colpire un target “simile” a chi compra: serve colpire chi sta iniziando a cercare. Non ultimo il contesto legislativo: nuove norme o regolamenti possono obbligare le aziende a introdurre una nuova tecnologia (pensiamo alla fatturazione elettronica, al whistleblowing o all’accessibilità dei siti web, per fare qualche semplice esempio) e scatenare una domanda intensa e repentina. O per fare un esempio di questi giorni, chi sarà soggetto a oscillazioni dei dazi potrebbe voler adottare un software di forecast finanziario, o addirittura di gestione della supply chain, del tutto nuovo – e in fretta! Come riconoscere i momenti chiave, nel rispetto completo del GDPR Nel contesto europeo, identificare i segnali di intent significa lavorare in modo etico e trasparente su informazioni legali. Al posto di piattaforme che profilano senza consenso attivo, oggi possiamo ottenere informazioni preziose tramite strumenti GDPR compliant e basati sull’engagement volontario, oppure usando processi e attori verificati come quelli adottati dal team di Valuelead per i propri clienti. Un esempio classico è l’uso di form interattivi intelligenti, integrati in contenuti di valore: chi scarica una guida sull’efficienza ERP o partecipa a un webinar sull’AI per il CRM sta esprimendo un interesse reale e documentabile. In questo caso si tratta di dati dichiarativi, che offrono insight preziosi nel pieno rispetto della privacy. Utilizzando in parallelo una piattaforma di tracking dell’IP che produce nomi di aziende, strumento ancora sottoutilizzato dalle aziende italiane, si chiude il cerchio raccogliendo anche intenzioni per così dire passive (l’utente non deve fare alcuna azione specifica, ma è protetto dal GDPR). Anche la newsletter può diventare un prezioso strumento di rilevazione, soprattutto se collegata a contenuti ben targettizzati. Chi clicca su un approfondimento tecnico specifico sta lasciando una traccia chiara della sua fase decisionale. Se il consenso è stato raccolto correttamente al momento dell’iscrizione, questi dati possono essere utilizzati per attivare contenuti personalizzati, anche senza cookie o profilazione invasiva. Contenuti e campagne che parlano al momento giusto In uno scenario in cui i segnali vanno raccolti in modo trasparente, la qualità del contenuto torna al centro. Una guida che aiuta a valutare se il proprio ERP è un freno alla crescita, un case study concreto su come un’azienda ha automatizzato il proprio flusso commerciale con l’AI, o ancora una newsletter che propone strumenti pratici per calcolare l’ROI di una tecnologia: tutti questi elementi diventano strumenti per capire chi è davvero pronto. L’advertising specializzato – pensiamo a una campagna Linkedin diretta a chi da poco ha coperto una nuova posizione in quel settore specifico – se ben gestita e ottimizzata rafforzerà il messaggio e stimolerà chi ha un bisogno urgente di conoscere la vostra azienda. Anche le campagne ADV possono essere GDPR friendly ed efficaci. LinkedIn, per esempio, consente targeting basato su job title, settore e contenuti precedentemente visualizzati sulla piattaforma, il tutto con consenso implicito e gestito a livello della piattaforma stessa. In alternativa, le campagne possono essere attivate su segmenti costruiti a partire da interazioni documentate su sito e newsletter, senza necessità di profilazione avanzata. Insomma, anche se in Europa, a differenza per esempio degli Stat Uniti, la raccolta di segnali di “intenzione di acquisto” è più complessa e articolata, ciò non significa che sia impossibile, al contrario, può essere un’attività che vi distingue e fornisce un vantaggio competitivo sui concorrenti. Un buon team di supporto che incroci contenuti, advertising e sistemi software come il nostro tracker, unita alla conoscenza del settore e della sua stagionalità che ogni azienda ha, formano un potente strumento di attivazione. Perché non provare? Conclusioni Nel marketing B2B moderno, la vera rivoluzione non è nel cambiare target, ma nel cambiare tempo. Non basta sapere chi è il tuo cliente: devi capire quando lo diventa. E in Europa, farlo nel rispetto delle regole significa tornare a valorizzare i segnali espliciti, la qualità dei contenuti e la trasparenza delle relazioni. In questo nuovo equilibrio tra strategia e rispetto, chi riesce a parlare nel momento giusto conquista la fiducia — e spesso anche la firma sul contratto. Se siete un’azienda B2B alla ricerca di un partner che vi aiuti a concentrarvi su strategie di marketing digitale efficaci, vi invitiamo a contattare il team di Valuelead per saperne di più.

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Il rischio del “Curse of Knowledge” nel mercato B2B

Il rischio del “Curse of Knowledge” nel mercato B2B

Nel marketing B2B le aziende puntano a posizionarsi come leader dimostrando competenza ed esperienza. Tuttavia, il Curse of Knowledge può compromettere l’efficacia della comunicazione. Questo fenomeno si verifica quando chi parla presume che l’interlocutore abbia la stessa familiarità con un argomento, rendendo il messaggio complesso, tecnico e distante anziché chiaro e persuasivo. Come incide nel mercato B2B? In questo articolo analizziamo il suo impatto e le strategie per evitarlo, garantendo una comunicazione accessibile senza perdere autorevolezza. Indice: Cosa significa “Curse of Knowledge” e perché è un problema nel B2B? Come superare il Curse of Knowledge nella comunicazione B2B Conclusioni Cosa significa “Curse of Knowledge” e perché è un problema nel B2B? Il termine “curse of knowledge” è stato introdotto negli studi di psicologia cognitiva per descrivere la difficoltà, da parte degli esperti, di mettersi nei panni di chi non possiede le stesse conoscenze. Una volta acquisita una competenza, diventa difficile ricordare come fosse il processo di apprendimento prima di averla. Nel marketing B2B questo si traduce in: Creare contenuti tecnici che risultano poco accessibili ai non specialisti. Produrre presentazioni aziendali dense di acronimi e termini complessi più focalizzate sulle funzionalità anziché sui benefici concreti. Inserire call to action che non comunicano immediatamente il valore offerto. Un errore comune è pensare che mostrare competenza renda automaticamente più credibili e persuasivi. Tuttavia, se il messaggio non è chiaro, il valore del prodotto o servizio potrebbe non emergere pienamente. Come superare il Curse of Knowledge nella comunicazione B2B Per evitare di allontanare il pubblico con una comunicazione troppo tecnica, ecco alcune strategie pratiche: 1) Parlare di benefici e non solo di caratteristiche Un errore frequente nel marketing B2B è concentrarsi sulle specifiche tecniche senza evidenziare i vantaggi concreti per il cliente. È preferibile evitare formulazioni come “Brand Booster è una piattaforma  di Employee Brand Advocacy progettata da Bewe che utilizza AI, gamification e analytics predittivi per ottimizzare la condivisione dei contenuti, aumentare l’engagement e misurare l’impatto con KPI avanzati” e invece optare per un messaggio più orientato ai benefici, come “Con Brand Booster pubblichi contenuti con un solo click, aumentando l’autorevolezza del tuo brand e raggiungendo un pubblico più ampio”. Questo esempio dimostra che dare priorità all’impatto sul business del cliente, anziché concentrarsi esclusivamente sulla tecnologia, rende il messaggio più semplice e comprensibile. 2) Usare metafore e analogie per rendere chiari i concetti complessi Il modo migliore per rendere comprensibile un concetto tecnico è associarlo a immagini familiari attraverso analogie.  Ad esempio, anziché spiegare nel dettaglio il funzionamento di un software di gestione dati basato su cloud, si può descriverlo come una “cassaforte digitale sempre accessibile, che protegge e organizza le informazioni aziendali senza il rischio di smarrimenti o duplicazioni”.  Questo approccio facilita la comprensione anche per un pubblico non tecnico, rendendo il messaggio più efficace. Quando si comunica un concetto complesso, trovare un paragone con situazioni quotidiane aiuta a trasmettere l’obiettivo della comunicazione e rendere il concetto più comprensibile. 3) Adattare il linguaggio all’interlocutore Non tutti gli stakeholder possiedono lo stesso livello di conoscenza, quindi è fondamentale adattare la comunicazione in base al pubblico di riferimento.  I contenuti destinati ai tecnici devono essere approfonditi e dettagliati, mentre per i decisori aziendali è più efficace un approccio orientato ai risultati, attraverso case study e report analitici. Personalizzare il linguaggio e il formato dei contenuti in base al grado di familiarità del destinatario con il tema consente di trasmettere il valore in modo persuasivo. 4) Rileggere i contenuti con uno sguardo da “esterno” Chi scrive un contenuto tecnico spesso non si rende conto della sua complessità. Un metodo efficace per valutarne la chiarezza è sottoporlo a una persona esterna al settore e verificare se il messaggio risulta comprensibile.  Per affinare ulteriormente il testo, è utile seguire una checklist che aiuti a valutare alcuni aspetti:  “Il valore è immediatamente chiaro?” “Il linguaggio è accessibile anche a chi non ha competenze specifiche?” “Ci sono termini tecnici che possono essere semplificati senza perdere precisione?” “Questa analisi consente di rendere la comunicazione più efficace e fruibile per un pubblico più ampio?” 5) Equilibrare competenza e semplicità per costruire autorevolezza Semplificare la comunicazione non compromette la credibilità, anzi, rafforza l’autorevolezza del brand. Le aziende che riescono a rendere accessibili concetti complessi vengono percepite come più affidabili e competenti.  Ad esempio, brand come Apple e HubSpot, hanno costruito la loro leadership grazie a una comunicazione chiara, efficace e orientata ai benefici senza rinunciare alla solidità tecnica. Conclusioni Se siete un’azienda B2B alla ricerca di un partner che vi aiuti a concentrarvi su strategie di marketing digitale efficaci, vi invitiamo a contattare il team di Valuelead per saperne di più.

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